(tratto dal libro di Angelo “Maestro di sci amore mio”)

1.

...La parola pedofilo la sentii per la prima volta non molti anni fa, insieme alla parola necrofilo……..
Necrofilo, “parolaccia” che mi fu lanciata da un mio simpatico gruppo di conoscenti quando scoprirono che avevo una relazione con una loro amica, che, di certo non era morta, ma ne aveva tutte le caratteristiche.
Ma, chiusa la parentesi, vorrei chiedere l’attenzione dei miei colleghi sul comportamento che converrà avere con i bambini nostri allievi, in questi strani anni in cui guardare un bimbo può essere pericoloso, ed uno zio che bacia la nipotina può essere denunciato.
Io, in realtà, è da tanto che rinuncio a far fare la pipì ai miei piccoli allievi sul bordo della pista, un po’ per non essere frainteso e un po’ perché scavare fra tutti quei panni per cercare quel piccolo “pisellino” intirizzito mi ha fatto sempre molto schifo, e poi che scocciatura la conclusione era sempre la stessa: una grande “lavata” di mani.
Preferisco uscirne con un « tieni duro! », oppure con una frase di grande effetto tipo: « tutti i veri uomini si sono fatti la pipì addosso! »
Ma vi vorrei raccontare un fatto che mi è accaduto.
La segretaria della scuola una sera mi telefonò, avvertendomi che il giorno dopo dovevo essere a disposizione per tutta la mattinata di due fratellini e che in ogni caso dovevo passare in ufficio per ulteriori delucidazioni.
Cosa che io feci.
Pensai a quale inghippo o meglio “fregatura” ci fosse, perché puntualmente c’è sempre un inghippo quando una segretaria ti chiama.
Nell’ufficio era presente anche il padre dei miei nuovi giovani allievi, un noto professionista veneto che mi raccomandò caldamente d’essere estremamente rigoroso con i suoi due figli, perché erano terribilmente indisciplinati e dovevo tenerli sempre sotto controllo.
Lo lasciai tranquillizzandolo che non c’èrano problemi e che si mettesse pure il cuore in pace.
Le ultime sue parole furono: « non lasciarti ingannare! »
Il giorno dopo alle nove ero puntuale all’appuntamento e mi stavano già aspettando, il padre ed i due pargoletti.
Dopo le presentazioni, prima della partenza, il padre mi diede non uno ma due numeri di cellulare « per qualsiasi evenienza! », mi disse.
Prendemmo armi e bagagli e ci dirigemmo verso la cabinovia che ci avrebbe portato alle piste.
I due ragazzini mi sembravano simpatici e tranquilli, pensavo che forse mi stavano studiando, oppure che tutte quelle raccomandazioni erano solo le paranoie dei soliti genitori che esagerano, a me sembravano tutt’altro che delle belve!
Arrivati alla partenza delle piste, sapevano già sciare, incominciarono subito a spintonarsi e saltarsi addosso col rischio di farsi male.
Dopo i miei vani tentativi di farli ragionare per farli smettere, passai alla maniera dura: feci levare loro gli sci e scendere per la pista a piedi per tentare di raffreddare i loro bollenti spiriti, ma il risultato fu deludente, non volevano sentir ragione.
Ero rassegnato, le mie ore di lezione si sarebbero tramutate in quattr’ore di transumanza.
Arrivati a una stazione della seggiovia uno dei due selvaggi mi chiese del gabinetto ed io l’accompagnai, consigliando di approfittarne tutti, così li avrei avuti sempre sotto controllo.
Appena entrati nella toilette, che fra l’altro erano vuote, si chiusero immediatamente in due box, io invece mi diressi ad un pisciatoio incominciando la solita prassi.
Mentre mi stavo rilassando, molte volte è veramente un piacere quando scappa, mi girai e vidi uno dei due tipi che mi stava osservando a pochi metri.
Non potendo interrompere, per un uomo è pressoché impossibile, incominciai ad inveire con forza e tentai di mandarlo via, ma il “guardone” non fece la benché minima mossa per andarsene, anzi chiamò suo fratello e dopo un istante, me li ritrovai tutti e due, uno a destra ed uno a sinistra, a pochi centimetri, mentre stavo ancora finendo.
Potete immaginare come ero imbarazzato, ma il massimo è stato quando il più piccolo mi disse: «maestro, che pisello “vecio” che hai! ».
Non sapevo se ridere o piangere, ma la mia sconfitta era totale.
La riconsegna di queste due piccole belve fu una liberazione, con un pensiero martellante: e se qualcuno in quel momento fosse entrato in quella toilette e avesse notato il maestro con i due suoi piccoli allievi a pochi centimetri dal suo pisello, anche se “vecio”?
Dove sarebbe andata a finire tutta la mia, spero onorata, vita da professionista?...

2.

...Questo libro ha un sotto titolo:
“Non farti vedere sciare, scopriranno chi sei!”
È un po’ intrigante, lo so, ma forse sarebbe stato un pò troppo scontato, scrivere, “Dimmi come scii, ti dirò chi sei”.
Ma in ogni caso, il concetto è chiaro, ed ora tenterò di spiegarvi questa mia teoria, spero in un modo molto semplice e capibile, anche se, lo sappiamo tutti, spiegare delle teorie e capirle è sempre difficile.
A quella fatidica notte insonne, in cui l’intervistato alla radio, vi ricordate, spiegava del linguaggio del corpo, ne sono seguite delle altre durante le quali, pian piano, cominciò a prendere forma questa mia idea.
Stava diventando oramai un chiodo fisso, di notte ma anche di giorno, sul campo, in mezzo ai miei allievi.
È da quel momento che incominciai a fare la mia ricerca tentando di capire in un modo nuovo e diverso, le persone che sciavano con me.
Tante volte sulla seggiovia, infatti, i miei allievi mi chiedevano come si diventava maestri o perché avevo scelto quest’attività e visto che incominciavamo ad avere un dialogo al di fuori della tecnica dello sci, in qualche occasione, tra una chiacchiera e l’altra, accennavo a questa mia teoria e quando gli confidavo che li avevo presi come materiale di studio, “cavie” da analizzare, erano positivamente sorpresi ed anche molto incuriositi e non vedevano l’ora di sentire le mie conclusioni.
Le conclusioni le facevo sempre l’ultimo giorno, non intavolavo mai io per primo il discorso ed erano sempre loro a ritornare sull’argomento: «ricordati di dirmi come sono……………… non andartene senza dirmi che carattere ho…….», ed in qualche caso mi telefonavano anche a casa per sentire le mie conclusioni e le più curiose erano sicuramente le donne.
Tutto questo mi piaceva ed oltretutto ero anche incoraggiato dall’interesse e dalla curiosità che destavano le mie teorie a continuare nella mia ricerca.
Ho avuto l’opportunità di confrontarmi con più di trecento persone in questi ultimi anni e la metà erano donne.
In realtà i miei appunti riguardano solo circa centocinquanta “casi”, tutti selezionati e ben catalogati, dal momento che per gli altri le risposte erano troppo banali, scontate e simili.
Prima di chiedere alle mie “cavie” se le mie deduzioni si avvicinavano alla realtà, sottolineavo ulteriormente, se ce n’era ancora bisogno, che ogni nostra conversazione rimaneva tra noi, ma esigevo, se volevano rispondere, estrema onestà e se li vedevo titubanti facevo cadere il discorso.
In realtà pochissime persone si sono rifiutate di collaborare, bastava scegliere il momento giusto!
Una curiosità: molte persone mi dicevano: « certo che sarò onesto con te e ti dirò tutto, tanto domani parto e non ci vedremo più !»
La scelta delle persone è stata del tutto casuale, per età, professione, capacità sciatorie, prestanza fisica e simpatia: tutte persone adulte e di nazionalità italiana, dal momento che, pur parlando discretamente tedesco ed inglese, mi era particolarmente difficile spiegare in modo chiaro le mie intenzioni e dove volevo parare, ed anche se ci riuscivo, mi risultava quasi impossibile interpretare nel modo giusto le risposte che ottenevo.
Nella prima versione del mio scritto, prima e non ultima, visto che questa è già la terza, avevo tirato delle conclusioni fin troppo semplicistiche: il mio obbiettivo era scoprire se una persona aveva un carattere aperto o chiuso, se era quindi estroversa od introversa, ma mi resi conto ben presto che le mie conclusioni erano molto banali.
Feci leggere il tutto ad un mio amico psichiatra, vi voglio proprio raccontare com’è andata...

DALLO PSICHIATRA.…

...Ho portato la bozza di questo mio libro ad un mio amico psichiatra, per avere un suo parere sulla parte prettamente psicologica precisandogli, ammesso che c’è ne fosse bisogno, che queste mie conclusioni non avevano nessuna pretesa, che non era certo mia intenzione scrivere un trattato di psicologia sull’argomento, ma semplicemente tirare delle conclusioni e mettere sulla carta tante mie considerazioni..
La sua risposta fu: « ti saprò dire. »
L’appuntamento era, dopo qualche giorno, non sul lettino del suo studio, ma in un giardino pubblico, dove c’eravamo ripromessi di fare quattro passi insieme e delle chiacchiere.
Arrivò quel giorno, passeggiavamo in quel verde, ed io aspettavo curioso e con ansia le sue conclusioni, dopo una lunghissima e penso anche studiata pausa, mi disse che aveva letto la mia bozza un paio di volte e che gli piaceva, gli piaceva com’ero riuscito in parole semplici e coinvolgenti a spiegare certi atteggiamenti delle persone.
Trovava interessante anche il mio modo di descrivere il comportamento dell’individuo attraverso il racconto d’episodi realmente accaduti, e non con il solito pesante trattato.
Ma continuò: « La psicologia dei tratti non si usa più molto perché è influenzata da un aspetto emozionale personale e l’alfabetizzazione emozionale serve a decodificare le emozioni da aspetti del verbale e del non verbale. »
A quel punto, ero già inciampato parecchie volte e l’unica frase che mi uscì fu: « Ma è a causa di tutti questi studi macchinosi, che voi psichiatri, state diventando tutti matti? »
« Va bene, ti spiegherò in un modo molto più semplice.
Tu dici: un carattere aperto, ma cosa vuol dire aperto, aperto dalle vostre parti, in quelle valli incuneate tra i monti, ma noi sappiamo che un carattere aperto lì è mediamente aperto per uno che abita a Napoli, o per niente aperto per un Egiziano.
Ti consiglierei di usare aggettivi molto diversi, come disponibile, più disponibile, propenso a nuove idee, ben disposto alla risata, al dialogo ed a cose nuove.
La cosa però che più mi preoccupa è quanto ti sei lasciato influenzare da un aspetto emozionale non verbale, traduco: incontriamo una persona e già da come è, anche se non abbiamo mai parlato insieme ci può condizionare, ci può già essere più o meno simpatica; non parliamo poi dell’influenza che possono avere gli aspetti emozionali verbali, cioè da come uno ti parla, dal tono della voce, da come usa bene le pause, a tutte queste cose devi avere la forza di essere indenne e te lo assicuro non è facile!
A parte questo mi è veramente piaciuto il tuo lavoro e t’invito a continuare. »
E’ proprio vero che tante volte gli amici sanno dire delle ottime bugie, ma è altrettanto vero che servono a darti coraggio.Da quel momento, su suo consiglio, non ho parlato più di carattere aperto o chiuso, ma ho cercato altri aggettivi per definire le persone che incontravo.
Scrivo tutto questo, non solo per gli addetti ai lavori, cioè i maestri di sci, ma per tutti, per chi pensa che gli sci siano wurstel, per chi scende le piste, ed anche per chi non scende più e finalmente scia.
Lo spirito di queste mie considerazioni messe sulla carta, dovrebbe essere per i lettori quello di un gioco fra amici, per capirsi meglio: tra fidanzati per avere qualche conferma, tra amanti per fugare qualche dubbio, un gioco e forse anche un aiuto in più per qualche giovane intraprendente in vena di rimorchiare; e per il maestro un motivo di dialogo, un aiuto nella didattica, per capire cosa vuole l’allievo, quale metodo d’insegnamento adottare, e, perché no, per attirare ulteriormente l’attenzione e corteggiare in un modo diverso!
Vi garantisco che è vincente!
Vincente è sicuramente il riuscire, estrapolando i dati, a farsi un’idea del carattere di un qualsiasi individuo: timido od espansivo, malinconico, o gioioso, simpatico o pedante, con tutte le possibili varianti…….
A questo punto, potrei cominciare con l’analizzare i diversi momenti che compongono la tipica ora di lezione, con tutti i segnali comportamentali che si possono avere, ma tralasciando il resto, comincerei con il sottolineare come i primi contatti con l’allievo, ovvero le prime ore di scuola siano gli attimi magici per cominciare ad analizzare la situazione: che siano allievi principianti o progrediti, è sempre nelle prime ore che vi è più spontaneità e la sciata risulta più naturale.
Tutto diventa più facile se il soggetto è alle prime armi cioè principiante.
Nell’allievo principiante, infatti è ancora viva la spontaneità della sciata e della posizione, cosa che invece, in un esperto sciatore è andata persa o si è in parte modificata a causa delle numerose lezioni ripetute negli anni.
Tornando quindi ai primi contatti tra allievo e maestro, partirei con la discesa sulla massima pendenza: per i profani è uno dei primi esercizi che il neofita sciatore fa: scendere su un pendio di minima pendenza a sci paralleli e larghi cercando una posizione naturale e centrale.
Quest’esercizio può dire moltissimo!
Dopo una breve spiegazione della posizione di base, e dopo tutte le rassicurazioni sull’assoluta sicurezza della prova, pur essendo la prima discesa della sua vita l’allievo si accinge a scendere: osservando come si sposta puoi già azzardare delle conclusioni sul carattere di questa persona.
Ma qual è il primo messaggio, il più immediato e semplice da percepire, estremamente evidente, per non dire plateale ed importantissimo, per capire chi hai davanti?
LE BRACCIA.
Esistono diversi modi di tenere le braccia durante la sciata, ma due sono i più comuni: LARGHE cioè protese in avanti come nel tentativo di trattenere un enorme pallone, o STRETTE, ovvero quasi abbandonate lungo i fianchi con le mani che quasi toccano le gambe.Nel primo caso, ho avuto modo di riscontrare che la persona che scia con le braccia larghe, denota una spiccata predisposizione al dialogo, è curiosa, estroversa e fantasiosa, proiettata verso il nuovo, ed ama molto stare in mezzo alle gente.
Non a caso il vecchio detto “non è una persona che affronta la vita con le mani abbassate” calza perfettamente ad una persona con le idee chiare e da non sotto valutare:
Queste braccia allargate, nella maggior parte dei casi è accompagnata da una posizione più stabile sugli sci, peso del corpo ben distribuito su entrambi gli sci con, di conseguenza, una posizione più centrale.
La persona chiusa introversa, poco sicura di se e timida, invece, si presenta e si muove in un modo diametralmente opposto: braccia penzolanti, chiuse lungo i fianchi, mani che appoggiano sulle gambe, con le spalle incassate nel corpo e la testa che conseguentemente non può stare alta ed il peso che è sicuramente all’indietro.
In questa postura è anche difficile essere ben piantati sulle gambe ma, al contrario, si tenta di rimanere con le gambe strette spostando il peso in un modo poco controllato da una gamba all’altra.
Forse il modo più semplice per spiegare questi due atteggiamenti completamente diversi è percorrere la mia esperienza descrivendola attraverso fatti realmente accaduti, situazioni particolari, con nomi e confidenze accordatemi...

3.

...Perché questo libro, “libro”, questa cosa?
Perché non solo sciare, corteggiare, guadagnare e osservare i nostri splendidi panorami?
Perché oltre a questo, che è gia tanto, prendere appunti, catalogare tipi di sciate, chiedere conferme in un modo corretto e non invadente ai miei allievi?
Perché lunghe chiacchierate sulla seggiovia con psichiatri e psicologi miei allievi in questi ultimi quattro anni, perché questa curiosità, forse perché la mia cultura di psicologia si riduce a qualche libro ed a qualche contatto via internet?
Perché tutto questo?
Per due cose, la prima la mia incontenibile curiosità, la seconda, la più importante, quella che mi ha dato la forza e la perseveranza è stata la NOIA.
Si! La NOIA!
Dopo trent’anni di scuola di sci, migliaia di allievi da tutto il mondo, più o meno bravi, un professionista si può anche stancare e un po’ demotivare, ed allora cerca un input in più per tornare puntuale al lavoro e farlo in un modo egregio.
Ma vorrei tornare un “po’” indietro nel tempo, più di trent’anni a dire il vero!
Vi chiederete quale motivazione poteva spingere un ragazzo a scegliere la strada del maestro di sci: “il fascino del maestro”, sicuramente, essere al centro dell’attenzione, essere invitati in posti esclusivi, essere richiesti da persone belle ed importanti.
Insomma “dalle stalle, alle stelle”, tutto in una volta, in pochi mesi: non erano i soldi!
A diciassette anni non pensi molto al denaro, alla casa, al futuro, ma, piuttosto, alle cose materiali e più immediate: all’auto!
Quella sì, specialmente se negli anni settanta era una SPIDER azzurra, rigorosamente usata, come la mia ma…….c’era un ma: il prototipo del maestro, era: ALTO, BELLO, BIONDO e con gli occhi azzurri!
Io di tutto questo avevo solo gli occhi azzurri!
Ma a questo avrei pensato più tardi……..
Il più tardi arrivò presto: a quell’età in cui a tutti i maschi piace essere ammirati ed avere ragazzine al fianco, desiderio forse non solo adolescenziale?
Sta di fatto che negli anni settanta se eri belloccio il gioco era facile se non lo eri: vita dura!
Ed è in questo momento che entrano in gioco altri maestri di sci che mi hanno aiutato a fare un certo tipo di scelta nella mia vita: tutti quelli che vedevo esibirsi in modo impeccabile ed un po’ fanatico sulle nostre piste, ma soprattutto il mio datore di lavoro, proprietario della prima discoteca di MOENA, mio cognato, maestro di sci nel poco tempo libero, ma che maestro!
Essere nel locale di DINO, “il maestro”, attirava moltissimo, quasi come la sua fisarmonica: dovevano essere queste le cose che piacevano alla gente, sicuramente non il vino di pessima qualità che vendeva!
Altro maestro, se a questo punto c’è ne fosse ancora bisogno, è stato ed è ancora una specie di simbolo: BALBO, maestro ed allenatore della squadra FIAMME ORO di MOENA, generoso gentil uomo, con una grande mente, coccolato da tutte e fine corteggiatore, poco esibizionista, parlava infatti sempre dei suoi lati negativi e mi ha fatto scuola, visto che di cose negative ne avevo e ne ho moltissime!
Balbo frequentava la Baita assiduamente, il far sapere che era un maestro di sci era la sua ultima spiaggia, ma da quel momento la sua nuova preda non aveva scampo.
Ricordo con piacere cose di quella serata accadute trent’anni fa: immaginate, ore tarde, ad un tavolo molti uomini ed una sola ragazza, tra l’altro bellissima; l’atmosfera si surriscaldava, gli uomini davano tutto quello che potevano e di più, la rivalità era alta, molti erano già fuori gioco, i contendenti rimasti affilavano le ultime armi, io ero presente ma non esistevo, e, come nei film, nei momenti di massima tensione, ecco che arrivano i nostri: in questo caso “i nostri” erano uno solo, Balbo!
Chiese gentilmente se disturbava e mentre si accomodava metteva a fuoco la situazione, la studiava, ed entrando in competizione, si rivolse alla ragazza e disse: « in questo momento i più fortunati siamo noi due: tu perché sei donna ed io perché sono GAY ».
Non vi dico la sorpresa mia e degli altri perché tutti sapevamo che non lo era.
E così, con quell’unica battuta, Balbo si era già reso più interessante e diverso agli occhi di lei, oramai l’attenzione era solo su di lui: “sputtanamento” generale sicuramente, ma gli occhi sbarrati di lei erano solo per lui, la serata era finita!
Uno ad uno, gli antagonisti si alzavano dal tavolo, salutavano ed andavano via soli, ed a lui solo il gravoso compito di accompagnare a casa la dama.
Venni a sapere da fonte attendibile che furono amanti per qualche notte.
Pensandoci bene a lui la patacca di maestro non serviva, aveva altre armi, ma so per certo che in qualche occasione gli è servita, eccome!
E figuratevi se non serviva a chi di armi non ne aveva!
Ma continuiamo: oramai la mia via, come scelta di vita, era presa, nessuno mi poteva fermare, la volontà c’era, la tecnica meno!
I miei primi sondaggi con i già maestri furono disastrosi anzi da suicidio: « che ne pensi se?…….».
« Prova, ma non illuderti, quando ho fatto io la selezione per diventare maestro eravamo in quattrocento anzi cinquecento, abbiamo superato la selezione in venticinque, anzi forse meno…….»
E così con molti altri: tutti erano stati prescelti da una mano divina tra una massa di poveri mortali!
Solo dopo molti anni ho scoperto la verità: le cinquecento persone erano in realtà centocinquanta ed i prescelti erano sessanta, ma questo a quei tempi non lo potevo sapere e la paura di non riuscire era sempre più forte.
Alternative?
Nessuna o forse una.
In quel periodo era nata un'altra associazione che tentava di contrastare il dispotismo della FISI od almeno così ne parlavano, l’AN-SCI.
Per indole sono sempre stato controcorrente ed a questo punto, perché no?
Cosa mi poteva accadere?
Con qualcosa dovevo pur cominciare!
E fu così che m’iscrissi e partii per l’avventura!
Mi ricordo il primo appuntamento al PASSO DEL TONALE: ore 8.00 - Hotel Vittoria…….
Ci guardavamo tutti in un certo modo, come dei “carbonari”, ci sentivamo tutti un po’ in colpa ed un po’ vigliacchi per aver scelto la via più breve, ma poi il gruppo dà forza e coraggio: dovevamo vincere la battaglia contro il despota che dava il patentino solo agli amici dei potenti ed a chi pagava.
Ovviamente tutte cose false, ben inventate od almeno in gran parte ma, in quel momento, tutto andava bene, tutto aiutava a crearci un alibi.
E così, superata la selezione, il corso: venti giorni al Tonale, con nuovi e vecchi amici, molti dei quali delle mie parti, come Tomaso, il mio pilota pazzo con la sua 500 ABARTH, me la ricordo ancora, piena delle nostre cose: vestiti, sci, scarponi, zaini, e posto d’onore alla mia chitarra.
Tutti alloggiati al Hotel Vittoria di proprietà di un organizzatore del corso dei dissidenti, guarda caso però, tutti, a parte Tomaso ed il sottoscritto che, non so come, non so perché, finimmo all’Ospizio.
L‘Ospizio era un vecchio, vero, ospizio, oramai in disuso, abbandonato dai frati e trasformato in una rustica locanda.
Era primavera o forse tardo autunno, comunque ricordo il freddo che pativo durante il giorno sugli sci e le notti in quei grandi stanzoni senza riscaldamento, per fortuna ero già abituato a casa mia che era più o meno la stessa ghiacciaia; ma la nota più bella di tutto questo, oltre al corso che procedeva bene, ed io che incominciavo finalmente a manovrare gli sci, era la nostra locandiera che ci voleva bene e le sue cinque figlie che ci volevano “benissimo”, anzi a dire la verità, visto che non ero ancora maestro e non avevo ancora imparato a raccontarle grosse, le cinque figlie, a Tommaso volevano “benissimo”, a me “benino”!
Grandi serate di festa ed allegria.
Ricordo ancora, con molto piacere, Lele, un omaccione piemontese di una simpatia unica, persona che non ho più rivisto con mio grande dispiacere, e poi i canti, le risate e le mie strimpellate con la chitarra: ho un ricordo vivissimo di tutto questo che mi è sempre molto caro.
All’esame tutto regolare: come in tutti gli esami, molta tensione ed agitazione, le solite esibizioni ed esercizi, curve a spazzaneve, virate, super parallelo, serpentina e, la più micidiale, la prova libera.
In quel momento ho capito quanti “incontinenti” ci sono nelle file degli aspiranti maestri: una moltitudine!
Ma a parte questo, il numero dei promossi fu altissimo, com’era prevedibile.
Il ritorno a casa è stato allegro come tutti i ritorni da una vittoria.
Il bottino? Una bella “pataccona 10 x 10”: era bellissima, sfondo nero, il solito fiocco di neve ed un ISTRUTTORE DI SCI bene in evidenza.
Da quel momento ero guardato a vista: per i maestri ero “l’abusivo”, per altri ero una specie di cocktail difficile da descrivere: una buona dose di vigliaccheria e furbizia, una spruzzata d’opportunismo e un po’ del coraggio del rivoluzionario.
L’avvio professionale non è stato dei più semplici, come potete immaginare, ma un po’ con le mie conoscenze, con l’aiuto di qualche albergatore che già allora non amava molto la categoria dei maestri di sci veri, e qualcun altro a cui forse facevo pena e mi voleva aiutare, sono partito.
Direi che sono partito alla grande, la mia voglia di fare era incontenibile, dovevo lavorare bene per farmi una clientela, ma doppiamente bene perché ero un “abusivo” ed almeno sul lato dell’insegnamento volevo essere inattaccabile.
Ero anche instancabile: lavoravo di giorno al massimo e poi APRES SKI, trascorrevo ogni pomeriggio con i miei clienti, tra canti e suonate, e poi le serate, tutte le sere fuori: ero la disperazione della mia povera mamma, santa donna.
Mi ricordo la mia prima lezione: ero al PASSO SAN PELLEGRINO, mi sembra di vederla ancora quella ragazzina, io ero tremendamente agitato: stavo entrando in un sogno, il mio sogno!
Tante volte le cose s’incastrano e s’incontrano in un modo impensabile, quella ragazzina era molto amica della madre di mia moglie che ho incontrato ben venticinque anni dopo, e non abitavano certo nel paese accanto al mio, ma a Latina: tante volte il destino è proprio imprevedibile!
E così, come il primo amore, non ho mai dimenticato quella prima ora di lezione, ma il vero battesimo del maestro, quello tanto atteso che mi portava dalle stalle alle stelle, è arrivato poche settimane dopo: non so come accadde, ma tutto il gruppo dei CROUPIER del Casino di Sanremo, erano con me.
La combriccola era formata da dieci o dodici uomini, appunto impiegati del Casino, ed altrettante donne, in parte mogli ed in parte amanti, ed io ero con loro tutto il giorno ed ovviamente ogni notte.
Non avevo mai visto, nemmeno in tutti gli altri anni seguenti della mia professione, tanta ostentata ricchezza, tanta baldoria e spregiudicatezza nei comportamenti ed in particolare nello scambio di coppie.
Le sciate in quei giorni erano un qualcosa in più: lo sci era usato come ai vecchi tempi, agli albori della scoperta dell’attrezzo, per spostarsi da un luogo all’altro, in questo caso specifico da un ristorante all’altro, da un rifugio all’altro da un aperitivo all’altro, da una mangiata all’altra: non c’erano limiti!
Gli aperitivi erano solo bottiglie di CHAMPAGNE, ottimi vini a pranzo e WHISKY come digestivo.
Oramai tutti ci conoscevano, in particolare gli esercenti di locali pubblici, per rifugi e taverne eravamo una manna, è meglio dire, erano una manna, perché io ero sempre loro ospite.
Per me era un mondo nuovo, un modo di gestire la giornata affascinante e poi tutte quelle belle donne.
A proposito di donne, in quel periodo anch’io non ero senza, vale a dire che ne avevo conquistata una con molto impegno, ovviamente non ricordo più né il nome né com’era, ma doveva essere notevole, visto che i miei amici allievi pensarono di proporci “giochi particolari”.
Con molta maestria ed esperienza ci spiegavano l’ipotetica situazione………
E’ vero che cavalcavamo l’onda sessantottina, ma qui della rivoluzione del ‘68 se n’era appena sentito il nome!
Comunque, LEI, la mia compagna ci stava.
Io ero molto perplesso e combattuto per diversi motivi:
a) la cosa mi affascinava ed intrigava;
b) sapevo che se lo scambio ci fosse stato sarebbe stato sicuramente alla pari;
c) non volevo farmi vedere il solito montanaro timido e bigotto.
Conclusione: a me la scelta!
Tutto era stato ben organizzato e pianificato: cena, festa e poi via, ma sul più bello è esplosa la mia indole timida e ho detto no!
Non lo avessi mai fatto!
Non vi dico le risate e prese in giro, ero bersagliato su tutti i fianchi, tentavo di spiegare ma non me ne davano il tempo.
In conclusione non ho perso la loro stima perché forse mi volevano troppo bene, ma al contrario ho perso la mia ragazza, non mi volle più vedere e già questo non fu una punizione da poco, ma dulcis in fundo, l’anno dopo ho avuto conferma dei miei sospetti: LEI NON AVEVA DETTO NO!
L’incontro con questi signori fu sicuramente, e per questo lo ho raccontato, il vero battesimo della mia professione, cioè l’incontro di una tale eterogeneità di persone, di caratteri e di comportamenti che mi era completamente nuova, anche se non ero uno dei più “addormentati”!
L’atteggiamento particolare di questi allievi nei miei confronti scaturiva solo ed esclusivamente dal fatto che ero loro maestro di sci, in poche parole, in quell’occasione mi resi conto che l’essere maestro mi apriva molte strade: era come l’avevo immaginato e sognato!
L’essere loro amico mi riempiva d’orgoglio.
Ricordo quando ero loro ospite a San Remo, entravo nell’ingresso del Casinò, al primo portiere che incontravo chiedevo dell’ispettore di sala tal dei tali, e questi guardandomi molto perplesso me lo chiamava, ed io entravo in sala, con lui giravo i tavoli ed incontravo molti miei allievi in questa nuova veste.
Molte persone mi guardavano perplesse, sicuramente chiedendosi chi fossi: dovevo essere una persona importante, molto in vista, il figlio di un “pezzo grosso”!
Non ero niente di tutto questo, ed ero fra l’altro molto ingenuo visto che, dopo poco, sono stato agganciato da una bella ragazza.
La ricordo ancora: fisico da sballo, vestito lungo nero, grande spacco sul davanti, trucco vistoso, quasi eccessivo.
Con molta tranquillità si avvicinò e mi disse: «non ti ho mai visto da queste parti, è la prima volta che vieni a San Remo? »
A dire il vero », risposi, « a San Remo vengo spesso, ma qui, a giocare, è la prima volta, preferisco andare in Austria, mi è più comodo visto che vivo gran parte dell’anno nelle Dolomiti. Sono qui solo di passaggio, mi fermo qualche giorno ».
E lei: « ma ti conoscono tutti qui, ti ho visto passeggiare con l’ispettore del casinò, e poi ai tavoli ti salutano! »
« E’ vero », dissi « mi conoscono, sono degli amici »: la mia indole un po’ da sbruffone stava lentamente ma inesorabilmente venendo fuori, così come la mia indole da mediocre conquistatore.
Ero sconvolto: una splendida ragazza mi stava agganciando, ero su un altro mondo, una cosa del genere non mi era mai capitata, dovevo subito raccontarla ai miei amici quando tornavo a casa, e potevo anche esagerare sulla sua bellezza e sullo spacco, tanto nessuno l’aveva vista.
Mi invitò a bere qualcosa: eravamo sulle poltroncine del bar in piacevole conversazione, quando arrivò la doccia fredda!
Non ero ancora a conoscenza di tutte quelle piccole norme per sopravvivere nella vita, tipo quella: non gioire troppo delle vittorie perché quando non ne hai più te ne vai in depressione: arrivò al bar uno dei miei amici croupier, mi chiamò, mi disse: « non è la donna per te, questa ti mangia tutt’intero scarponi e sci compresi. »
L’attimo da grande conquistatore era già finito, tornai da lei e con molto controllo le dissi: «questo dink l’offro io, è l’unica cosa che ti posso dare ».
In quel momento ho capito che di polenta ne dovevo mangiare ancora molta, come si usa dire dalle nostre parti, e che quel mondo non era il mio, od almeno non ancora!
Quei clienti non li ho più visti e sentiti fino a quest’estate: al mio rifugio, si apre la porta entra un signore con la moglie, mi si avvicina e mi dice: « Angelo, non ti ricordi più? »
Io ero molto indaffarato, « ci conosciamo da molti anni? », chiesi « da trent’anni », « dammi qualche coordinata », « San Remo, champagne e donne. »
Ed ecco un grande abbraccio, forse qualche lacrima e sono incominciati i ricordi: « ti ricordi quella volta? E che fine ha fatto quello? »
« Lavora ancora e quello simpatico di cui non mi ricordo più il nome? »
« E’ stato licenziato per furto al casinò come molti altri ».
E’ stata una giornata bellissima, ero contentissimo ed anche i miei clienti del ristorante se ne sono accorti visto che li ho totalmente abbandonati!...